Le lavorazioni per elettroerosione sfruttano la combinazione di calore ed elettricità per rimuovere particelle di metallo con estrema precisione. Questo processo richiede condizioni specifiche per essere portato a termine in modo efficace.
Per avviare il processo elettroerosivo, sono necessari due elementi chiave:
- Un elettrodo – Realizzato in grafite o rame, l’elettrodo deve possedere un’elevata resistenza alle scariche elettriche e all’usura. Durante il processo, viene alimentato a una tensione di innesco compresa tra 20 e 100 volt, a polarità positiva, e posizionato a una distanza di circa 25 µm dal pezzo da lavorare (sparking gap).
- Un liquido dielettrico – Generalmente costituito da olio fluido, questo liquido ha il compito di isolare il pezzo fino al momento della ionizzazione, quando inizia a condurre elettricità.
Il processo di elettroerosione inizia con l’immersione del pezzo nel fluido dielettrico e l’alimentazione del pezzo con polarità negativa. Man mano che la tensione aumenta, gli elettroni si liberano dal catodo e colpiscono gli atomi del dielettrico, generando sia ioni positivi che negativi. Questo provoca la ionizzazione del fluido, che passa da isolante a conduttore. Una volta ionizzato, il fluido dielettrico si trasforma in plasma, una sostanza incandescente formata da atomi ed elettroni liberi. Le scariche elettriche attraversano il fluido a intervalli regolari, con pause variabili tra 1 e 30 microsecondi. Ogni scarica genera calore sufficiente a fondere e vaporizzare piccole porzioni di materiale sul pezzo. Questo effetto ripetitivo crea una serie di minuscoli fori sulla superficie del pezzo, rimuovendo progressivamente il materiale. Il risultato è un’erosione di precisione, senza produzione di trucioli come nelle lavorazioni tradizionali, ma con la formazione di gas e minuscole sfere metalliche.
Elettroerosione, le tipologie di lavorazione
Partendo dalla stessa lavorazione, esistono due modi di metterla in pratica, da utilizzare alternativamente in base al risultato che si vuole ottenere e alle caratteristiche del pezzo che si ha di fronte. Nell’elettroerosione a filo il processo elettroerosivo rimane immutato, ma l’elettrodo è dato da un filo conduttore teso che taglia il pezzo in lavorazione. Questo tipo di lavorazione consente di intervenire su pezzi che richiedono un alto grado di precisione, riuscendo ad agire su superfici nanometriche fino a RA 0.04.
Nell’elettroerosione a tuffo invece si sfrutta la complementarità dell’elettrodo. Il pezzo prende infatti una forma complementare rispetto a quest’ultimo, che pertanto deve avere una conformazione ben precisa. Per procedere con un’elettroerosione a tuffo è essenziale creare un elettrodo che nella struttura risponda a tali necessità. Per il resto il procedimento rimane invariato.